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Go Southwest, Old Man, sorta di remake personale di 'Go West, Young Man', l'episteme fondante dell'Ottocento americano, concilia queste due anime (parola grossa: diciamo, queste due facce) che poi hanno sempre vissuto bene insieme. È un libro che nasce da un quarto di secolo passato a girare per i canyon e i deserti di Arizona, Colorado, Utah, e soprattutto New Mexico: per entrare nella mitologia ormai universale del West, avvicinarmi a quelle culture (la anglo, l'ispanica, quelle nativo americane), e far propria quella letteratura. Il taglio è composito: accademico, divulgativo, da libro di viaggio; e composita la scrittura, perché il libro parla in inglese e in italiano. Parla di cinema (molto John Ford) e di giallistica, il genere qui più frequentato; di arti visive, di folklore latino, del mito del West, della cosiddetta 'Soul of the Southwest', del kitsch stile Santa Fe. E parla di (e con) alcuni dei maggiori scrittori del Southwest: Rudolfo Anaya, Stanley Crawford, John Nichols, Hillerman. Dunque un Southwest vissuto in prima persona: dove l'io non si trincera in un preciso ruolo disciplinare ma si apre – si espone – al rischio inebriante della scoperta che lo rinnova.
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